Mi dispiace non poter essere tra voi come era mio
desiderio per rendere omaggio alle vittime del genocidio del 1994 in Ruanda e
ricordare che quel genocidio ci riguarda tutti, poteva essere evitato e noi
siamo stati a guardare.
Silvana Arbia
Venti anni tanti o pochi
per la storia dell’umanitá?
Si direbbe pochi per
rimarginare le ferite, si potrebbe dire tanti, se la generazione “dopo” non ne
ha conoscenza e senza conoscenza non c’è
nulla da ricordare, e se non si ricorda, il rischio che la tragedia si ripeta
sará molto elevato.
Al di lá delle
celebrazioni doverose, e della compassione per le vittime, cui va il mio
costante e rispettoso ricordo, a vent’anni da una tragedia insensata e assurda,
abbiamo l’obbligo di chiederci quale impatto ha avuto e ha il genocidio del
1994 in Ruanda nella svolta storica tra una civiltá giuridica di diritto penale
statale a quella di una nuova, rivoluzionaria civiltá che pone al centro dei
suoi interessi la punizione dei responsabili di crimini internazionali, anche
quando le giursidizioni statali non possono o non vogliono perseguire quei
crimini.
Si dice che la Corte
penale internazionale è al centro di un sistema di giustizia penale
internazionale in evoluzione, un progetto ancora in costruzione, il cui
effettivo funzionamento puó essere in ogni momento intralciato e bloccato per
interessi che non hanno niente a che vedere con la giustizia.
Il Tribunale Penale
internazionale per il genocidio del Ruanda, TPIR, creato dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite dopo la consumazione di crimini gravissimi nei
cento giorni dalla notte del 6/7 aprile, ha stabilito principi fondamentali del
sistema di giustizia penale oggi in vigore.
Nel settembre 1998 ha emesso
la prima sentenza di un’istanza internazionale sul crimine di genocidio,
definendone gli elementi costitutivi e stabilendo che anche lo stupro, se
ricorrano certe condizioni atte ad annientare in tutto o in parte il gruppo
etnico, puó costituire genocidio.
Lo stesso Tribunale ha
individuato i responsabili di piú alto rango, gli organizzatori, le autoritá
militari, civili e religiose, che invece di proteggere la popolazione, ne hanno
ordinato la eliminazione.
Grazie a testimoni
coraggiosi è stato possibile ricostruire una parte di veritá; sappiamo perché e come è stato preparato il
genocidio, quale soluzione finale, manipolando la gente e implicandola nella
mattanza.
Tutti si sono messi a
pulire le “case” dagli “scarafaggi”, dai “serpenti” per costruire un buon
futuro per il paese, con promessa di benessere e prosperitá.
Il genocidio è un crimine
che si puó commettere anche con la sola istigazione a condizione che sia
diretta e pubblica e, i media e le autoritá che facevano discorsi nelle piazze,
nei mercati e in aree accessibili al pubblico, diffondevano discorsi
infiammatori, cui nessuno avrebbe potuto resistere.
Chi è il nemico?, domanda
che anche oggi, nel nostro tempo che pretendiamo essere sviluppato, costituisce
un elevato rischio, con la possibilitá di scaricare su individui e o gruppi con
certe caratteristiche, la responsabilitá dei mali che sperimentiamo.
Se oggi rompiamo il
silenzio rispettoso per le tantissime vittime del 1994, la ragione deve essere una sola: rifiutare
l’esposizione delle popolazioni civili ai rischi di crimini internazionali come
il genocidio, i crimini contro l’umanitá e i crimini di guerra e agire per
prevenirli.
La crisi economica, la
povertá, il potere a tutti i costi, sono situazioni che possono esistere in
qualsiasi angolo del mondo, pertanto dobbiamo vigilare e agire senza alibi.
Non possiamo stare a
guardare come abbiamo fatto durante i mesi terribili da aprile a luglio 1994.
Esprimo la mia più
profonda compassione per le vittime,e i sopravvissuti, e aggiungo la mia voce
agli organizzatori e ai partecipanti a questa importante celebrazione perché la
memoria rimanga viva e attiva per evitare che la pace sia messa in pericolo.
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