martedì 31 dicembre 2013

L’Italia raccontata in “Anagramma”

ET.EBOOK CON 12 INTERVISTE DA CONSERVARE DI GRIMOLIZZI
Ci sono molti modi di raccontare il mondo. Tra questi, uno dei più complessi è quello di porre domande a soggetti che quel mondo lo vivono, e cercare di riportarne fedelmente le risposte. Si chiamano “interviste”, sono spicchi di realtà. La cosa difficile, una volta raccolta una serie di testimonianze, è cercare di ricomporle in un quadro unico, nel quale sia possibile tornare all’obiettivo iniziale: raccontare il mondo.
Proponiamo in estratto da Anagramma Italia l'intervista a Silvana Arbia






martedì 24 dicembre 2013

Gli Auguri di Silvana Arbia al Comitato Silvanaperlabasilicata

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Silvana al Comitato, augurando a tutti un sereno Natale. 

Cari amici del Comitato,
giungendo alla fine dell’anno, riflettevo su quanto importante sia stato l’anno 2013 per me. Voi mi avete fatto sapere che posso essere utile alla Basilicata e all’Italia, in un momento in cui rientrando da un’esperienza internazionale durata quattordici anni, ho trovato il mio paese e la mia regione in uno stato di profonda crisi senza precedenti. Grazie per avermi comunicato che l’onestà ed il merito sono ancora apprezzati; che a volere un progresso durevole, la legalità e la giustizia siamo in molti; che a rimanere saldamente radicati nel nostro orgoglio e nella nostra civiltà siamo tutti i lucani, residenti in Basilicata o  al di fuori di essa.
Il vostro appello e la vostra fiducia hanno creato le basi di un progetto nuovo, quello di una società moderna, sicura, prospera e proiettata nel futuro. Con l’impegno di tutti possiamo assicurarci un futuro di libertà, e di dignità.
Buon Natale e Buon Anno 2014 a tutti. 
Silvana Arbia                

21.12.13


Nessuno può essere sottoposto 
a trattamenti inumani o degradanti
Dalle carceri ai centri di accoglienza, la protezione della dignità delle persone è una questione aperta

di Silvana Arbia

“Nessuno può essere sottoposto alla tortura o a delle pene o a trattamenti inumani o degradanti”: questo è il testo chiaro, inequivocabile ed imperativo dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, in vigore dal 1953 ed in Italia dal 10 ottobre 1955. E’ il testo sulla base del quale, all’inizio di quest’anno, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo e operante nell’ambito del sistema del Consiglio d’Europa, all’inizio di quest’anno ha stabilito che l’Italia deve risarcire i danni subiti da alcuni detenuti in quanto vittime di trattamenti inumani o degradanti e ha prescritto l’adeguamento delle carceri sovraffollate entro un anno.

Tuttavia, proprio in concomitanza del varo del decreto legge che deve rimediare al problema delle carceri e adempiere le prescrizioni della sentenza di gennaio 2013 sui trattamenti inumani o degradanti e a chiusura di un anno critico sotto molti aspetti, emerge, se accertata, una situazione allarmante e devastante riguardante il trattamento di immigrati in centri di accoglienza a Lampedusa.

Intanto, in attesa dell’entrata in vigore delle modifiche al codice penale italiano che sono stabilite nel disegno di legge contro la tortura (DDL nS.849), sul cui testo lo scorso ottobre si è concluso l’esame in Commissione giustizia del Senato e che dovrebbe senza ritardi ulteriori diventare legge, introducendo un nuovo articolo nel codice penale italiano, va segnalata la lacuna contenuta nel testo di detto DDL, che punisce, è vero, non solo la tortura ma anche i trattamenti inumani o degradanti, ma solo se questi trattamenti siano commessi per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale, quindi atti di persecuzione, mentre nessuna tutela penale è prevista per altri atti inumani o degradanti.

Stante tale lacuna e in attesa che il ddl diventi legge, chiunque subisce trattamenti inumani o degradanti oggi può invocare l’art.3 della CEDU. La definizione di trattamento inumano o degradante è stata elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo la quale un trattamento per essere tale deve raggiungere una sufficiente soglia di gravità che si deve valutare in relazione al contesto, alla natura del trattamento, alla durata, alle conseguenze che ne sono derivate alle vittime. Secondo tale giurisprudenza é degradante il trattamento se ha creato sentimenti di paura, angoscia, senso di inferiorità, di umiliazione tali da diminuire la resistenza fisica o morale, non essendo necessaria l’intenzione di umiliare la persona.

Non possiamo ignorare la gravità della situazione nazionale, in cui la mancanza di adeguata tutela contro i trattamenti inumani o degradanti, in attesa di leggi che dopo decenni ancora non hanno attuato convenzioni ratificate tempo addietro, potrebbe porre l’Italia tra i paesi ai primi posti nella graduatoria delle violazioni dei diritti fondamentali della persona. Lo sapevamo, forse, ma gli stranieri che si riversano a Lampedusa, squarciano con un bisturi morale mali conosciuti, cronicizzati e non curati nel nostro paese.

Personalmente spero e mi auguro che le notizie sui fatti occorsi a Lampedusa in questi giorni non siano vere, e soprattutto mi auguro che il sistema giuridico e giurisdizionale nazionale permetta di intervenire efficacemente per prevenire e punire, se del caso, le violazioni delle lapidarie statuizioni secondo le quali nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, siano essi commessi in carcere o in centri di accoglienza o altrove. 

mercoledì 11 dicembre 2013

Un commento alla morte di Nelson Mandela di Silvana Arbia

Venerdì scorso mi trovavo all’imbarco di un volo per Kigali quando ho appreso che Mandela era morto. Le persone che come me attendevano di imbarcarsi esprimevano cordoglio, comprensibile ed inevitabile trattandosi di Nelson Mandela. Nessun essere umano potrebbe ragionevolmente pensare che un suo simile, anche se speciale e necessario per l’umanità, possa rimanere con noi per sempre, eppure tutti e in tutte le lingue in questi giorni parlano di “perdita”. Una persona molto anziana, 95 anni, e non in ottimo stato di salute, continuava, è vero, a mantenere viva la speranza di cambiamenti positivi nella storia dell’umanità. Persone di ogni età hanno guardato e continueranno a guardare con rispetto la sua forza, il suo coraggio, la sua profonda umanità. Molti giovani e meno giovani si sono ispirati a lui

Ma se Mandela rimane solo un mito, un grande nel pantheon, non riusciremo mai a beneficiare a pieno della sua eredità morale. Molti tipi di segregazioni esistono anche nella nostra epoca senza che nessuno agisca! Dobbiamo sempre aspettare che qualcuno si immoli per dimostrare che ogni essere umano è nato libero e ha uguali diritti e uguali doveri? Tante pratiche simili all’apartheid rimangono in vigore a causa della nostra indifferenza. Mandela ci ha guidati a fare un importante passo avanti, e dobbiamo evitare di ritornare indietro. Considerare l’apartheid come un problema africano sarebbe un grande passo indietro rispetto al progresso che Mandela ci ha permesso di fare. L“apartheid”, termine del linguaggio africano collegato al termine inglese “apartness”, ha costituito un sistema di segregazione razziale in vigore in Sud Africa dal 1948 per rafforzare il controllo, da parte della minoranza bianca, sulla maggioranza nera. Tale regime suscitò le prime reazioni lo stesso anno, così il 12 luglio 1948 il rappresentante dell’India presso le Nazioni Unite, dr. Padnanabha Pillai, scrisse al Segretario Generale manifestando preoccupazioni sul trattamento del gruppo etnico indiano in Sud Africa. Nulla accadde fino al 1971 quando l’URSS e le Guinee completarono la prima bozza di Convenzione per la soppressione e la punizione del crimine di apartheid, che fu poi adottata nel 1973, introducendo per la prima volta la qualificazione dell’apartheid come crimine contro l’umanità, quindi crimine internazionale. Più di cento stati aderirono, altri (tra cui l’Italia) non firmarono, seguendo la posizione degli Stati Uniti che attraverso l’allora ambasciatore Ferguson Jr. avevano dichiarato inaccettabile definire l’apartheid crimine contro l’umanità, essendo i crimini contro l’umanità particolarmente gravi. Nonostante tali opposizioni qualche anno dopo, nel 1977, l’apartheid viene pure definita come grave violazione del diritto internazionale umanitario, nel Protocollo addizionale 1 alle Convenzioni di Ginevra del 1949. E più tardi il crimine di apartheid fu definito nello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale e adottato nel 1998, come atto inumano (crimine contro l’umanità), commesso in un contesto di regime istituzionale di oppressione sistematica e dominazione da parte di un gruppo razziale su un altro gruppo razziale con l’intento di mantenere tale regime. 

Se ci guardassimo intorno forse potremmo rinvenire altre situazioni in cui tale crimine è stato commesso e sta per essere commesso. Sperare che non sia così non basta a tranquillizzare le coscienze e le menti. Inoltre le segregazioni che devono essere evitate e o rimosse oltrepassano i confini di quelle criminalizzate. Personalmente penso che il miglior omaggio alla memoria di Nelson Mandela sarebbe un’azione diretta ad eliminare segregazioni, muri, leggi, pratiche, costumi e altro che, anche al di là dei limiti della convenzione del 1973, quindi anche al di là della segregazione razziale e anche al di là della definizione di crimine contro l’umanità, costituiscono strumento per mantenere o rafforzare il potere di un gruppo a discapito di altri gruppi. 

L’esclusione e l’oppressione stanno comprendendo oggi sempre più ampie parti della popolazione (o delle popolazioni, se consideriamo contesti come l’Unione europea), come conseguenza di strategie politiche intese a conservare posizioni dominanti per una parte, e Mandela ha già percorso l’unica via possibile per l’umanità di fronte a fenomeni del genere: non accettarli e mettersi a capo degli oppressi e degli esclusi, con le mani disarmate ma sempre alzate per intimare l’alt. 

Tratto da:
http://www.laperfettaletizia.com/2013/12/per-non-seppellire-con-mandela-la-lotta.html

Cara Basilicata, chi ti salva?

su Un'ora nella vita del mondo
Autore: Francesca Barra
 
Data:2013-12-02

Maltempo e danni in Basilicata. Io sono lucana.E sono una giornalista.Sono stanca,umiliata e offesa che si parli poco e male e solo con caricature o per niente,della nostra regione. Allora faccio politica io, che non sono politica. Il maltempo ha colpito il cuore della mia terra: campagne, stabilimenti balneari, strade…ho ricevuto immagini delle condizioni di policoro dai miei amici e parenti. Mi dicono :”siamo in ginocchio,ma domani saremo al lavoro”. Anche la terra muore, sapete? Non solo la gente. E non è meno importante. Sono venuti a fare campagna elettorale i “politici vips”, ma sono venuti a farsi la guerra, non a parlare di voi.
Allora ve la racconto. Copiate, diffondete.
La Basilicata è la regione più ricca di petrolio in Italia, una delle più ricche di acqua.
È attraente per il turista per l’interscambio mare monti. Si può visitare uno dei parchi naturali più grandi d’Europa (il parco del Pollino) che si raggiunge in mezz’ora dalla costa ionica dove esistono insediamenti balneari con vaste pinete ed oasi del WWF.
Ci sono siti archeologici di notevole interesse culturale visto che siamo nel cuore della magna Grecia, nella terra che vide spartaco combattere contro Roma e perdere la sua ultima battaglia, dove sbarcó epeo costruttore Del cavallo di troia, i musei di Metaponto e Policoro, l’antica Heraclea.
È ricca di necropoli e bellezze paesaggistiche, il parco del pollino e le dolomiti lucane.
La sua agricoltura è una delle più pregiate d’Italia(fragole,kiwi, ortaggi,pesche,agrumi).
Ma resta tra le più povere d’Italia in termini di reddito medio pro capite, con un altissimo tasso di disoccupazione e di recessione. Il turismo è limitato a presenze pendolari e a flussi da regioni vicine. La stagione balneare che, per il clima potrebbe durare quattro mesi è limitata a 40 giorni. Mancano strutture di richiamo, mancano soprattutto infrastrutture. Non possiede aeroporto, neppure pista aeroportuale, la ferrovia funziona male e ha un solo binario, in pratica è tagliata fuori dal resto dell’Italia. Per questo motivo il turismo importante nazionale ed estero viene dirottato su regione del sud meglio collegate.
L’agricoltura che riusciva a garantire redditi alti a imprenditori agricoli e alle relative famiglie, è compressa e sofferente a causa della concorrenza spesso sleale di altri paesi. Questo accentua l’emigrazione soprattutto dei nostri giovani. L’area industriale della val basento è un insieme di cattedrali nel deserto.
Mancano politiche economiche di sviluppo!! Manca il vostro intervento. Diffondete!! E se volete intervenire nel mio programma radiofonico su radio1 rai e raccontarmi la vostra situazione, scrivetemi!
twitter: @francescabarra


Articolo originale all'indirizzo:
http://un-ora-nella-vita-del-mondo.com.unita.it/politica/2013/12/02/cara-basilicata-chi-ti-salva/